Con un altro gruppo di amici abbiamo proseguito l’esplorazione tematica iniziata lo scorso 3 agosto e di cui trovate il resoconto qui.
Si tratta ancora una volta di una degustazione sentimentale e non competitiva Italia-Francia, dove l’obiettivo consisteva nel costruire ponti evocativi tra vini tra loro diversi in termini di vitigno e condizioni geo-climatiche.
Ciascuna batteria della degustazione era caratterizzata da un tema diverso, sempre con l’obiettivo di spingere i partecipanti a riflettere su prossimità inaspettate tra vini che sulla carta non avrebbero potuto essere più diversi.
E il divertimento, ancora una volta, è stato assicurato!
Metodo: Maso Corno Blanc de Noirs Clou 2014 vs. Liébart-Régnier, Extra-Brut, Instinc-L
Ho voluto riproporre un confronto tra due bottiglie di metodo classico, ma questa blanc de noirs. Alla cieca si sono sfidati uno champagne della Vallée de la Marne e un Trento Doc.
Entrambi i vini hanno dosaggio minimo, la permanenza sui lieviti è di circa 70 mesi per il Trento Doc, mentre lo champagne è una base 2017, dunque decisamente più giovane. I vitigni sono 100% Pinot Nero per il Trento Doc e circa 50% Pinot Nero e 50% Pinot Meunier per lo champagne.
La prima sorpresa è visiva: il Maso Corno si veste di un colore giallo oro intenso e brillante, bellissimo, mentre il francese si presenta sotto più classiche trasparenze. Nessuno dei due però rivela il vitigno, segno che il contatto con le bucce è stato davvero rapidissimo.
Al naso il Maso Corno rilascia piacevoli note di pietra focaia, segno di una leggera riduzione che avevo già riscontrato in altre bottiglie della stessa annata, mentre Liébart-Régnier è più fine e discreto, ma è questo lo stile della maison, che si caratterizza per una ricerca estrema della finezza, della discrezione, dell’eleganza. L’irruenza del Pinot Meunier è ben tenuta a bada.
In bocca il Trento Doc risulta più gourmand: una grande bolla da tutto pasto, ampia sapida, quasi opulenta, di grande soddisfazione. Liébart-Régnier si distingue invece per dettaglio e finezza, anche se l’allungo in bocca resta di tutto rispetto, la mineralità della Vallée della Marne sempre ben percepibile.
Due stili molto diversi, ma soprattutto due vini del tutto coerenti nel loro stile.
Difficile decretare un vincitore: qui è il gusto a farla da padrone.
Mineralità: Domaine de la Borde, Arbois Pupillin, 2019 vs. Pietracupa, Fiano, 2018
Una batteria divertente e sorprendente: uno chardonnay dello Jura a confronto con un Fiano di Avellino. Due vini ciascuno a suo modo sulfurei, evocatori di sottosuolo.
L’Arbois Pupillin manifesta da subito le sue note di intensa ma delicata pietra focaia, poi un accenno di agrumi, e note tutte sul registro un po’ ‘duro’ della mineralità: non c’è nessuna concessione alla parte floreale dello chardonnay, ma questo è abbastanza tipico dei vini dello Jura.
Il Fiano si apre su note analoghe, ma è in retro-olfazione che le note sulfuree emergono prepotenti.
Uguali e diversi, i due vini parlano davvero del sottosuolo, senza per questo condividere origini geologiche: i suoli sono diversi, come diversi i vitigni.
Alla cieca però nessuno ha avuto dubbi: nonostante il grado alcolico identico (12.5), il Fiano esprime maggior calore, è più ampio in bocca, più pieno.
L’Arbois Pupillin è più fresco, preciso, sottile.
Tra i partecipanti c’è stata una leggera preferenza per il francese, ma entrambe le bottiglie hanno regalato una intrigante combinazione di piacevolezza ed originalità
Tutti frutti: Cantine Barbera Zibibbo Ammàno’ vs. Josmeyer Gewurztraminer ‘Folastries’ 2018
Forse la batteria più originale della serata: due vitigni semi-aromatici vinificati secchi.
Impossibile non riconoscere il Gewurztraminer. Nonostante la mano esperta delle sorelle Josmeyer sia riuscita ad imbrigliarne gli aspetti più esuberanti, le sue note di frutta tropicale e spezie emergono nette e decise.
Più discreto e forse più intrigante lo Zibibbo di Cantine Barbera. Rispetto ad altri vini di questa brava vignaiola ho apprezzato l’assenza di macerazione sulle bucce, che mette bene in valore il profilo aromatico così unico di questo vitigno.
Sorprende l’estrema lunghezza in bocca e mineralità dell’Ammàno, una bottiglia che si fa davvero notare. Qui, se vogliamo, il confronto è reso difficile dal fatto che il Gewurztraminer è, come pochi altri, un vitigno che si ama o si odia. Nella versione di Josmeyer resta comunque fine ed elegante, e un accompagnamento insuperabile con piatti asiatici o comunque giocati sulla speziatura dolce.
Eleganza: Valdellecorti Chianti Classico 2018 vs. Joseph Voillot, Bourgogne Pinot Noir Vieilles Vignes, 2016.
Quando si pensa all’eleganza nel vino la mente corre immediatamente al Pinot Nero e al nebbiolo. Qui ho voluto proporre una variazione per sparigliare un po’ le carte, consapevole che il Chianti Classico di Valdellecorti, in annata 2018, ‘borgogneggia’ in modo pazzesco.
E infatti, se il Pinot Nero si è mostrato in tutta la sua finezza ed eleganza ed è stato immediatamente riconosciuto, il Valdellecorti ha dato filo da torcere a tutti i partecipanti. E’ stato tutto un ‘né… né’. È una bottiglia davvero inclassificabile, in cui tutta la finezza di Radda emerge netta e decisa, e in cui il sangiovese si fa un po’ in disparte. Certo qualche accenno di arancia sanguinella avrebbe potuto mettere i partecipanti sulla giusta via, ma così non è stato.
Il Pinot Nero di Voillot, inizialmente un po’ chiuso, ha regalato le classiche note di fragolina di bosco e petali di rosa, delicato e fine. Leggermente meno potente in bocca, ma un esempio paradigmatico di cosa significhi l’espressione ‘eleganza del Pinot Nero’.
Succosità: Le More Bianche, Barbera d’Alba Superiore 2020 vs. Terrasse d’Elise IGP Herault ‘L’Enclos’ (Mourvèdre), 2018
Succoso, o sugoso, è l’aggettivo cui ricorre mia moglie per descrivere vini generosi, dal frutto intenso, concentrato, croccante, e al tempo stesso mai pesanti perché sostenuti da una giusta trama acida.
I vini italiani succosi per eccellenza sono la barbera in primis, e poi il Lagrein. Vini poco tannici, dai colori violacei, e dal frutto strabordante.
In Francia la succosità è propria dei vitigni del sud: Syrah in primis, poi Grenache e Carignan. Il Mourvèdre ha tratti leggermente più austeri, ma la curiosità mi ha comunque spinto ad aprire questa bottiglia.
La Barbera d’Alba Superiore 2020 di Le More Bianche è stra-potente, come la ricordavo: intense note di more, prugne, frutti scuri, sorretti da un’acidità potente che rende il sorso agile nonostante i 15° di alcol. Una delle migliori barbere assaggiate quest’anno. Un monumento a questo incredibile vitigno.
Il Terrasse d’Elise è più evoluto negli aromi, meno esuberante in bocca, leggermente più compassato. Potenza più misurata, ma ben presente.
Confronto anche qui intrigante, ma il palmarès della succosità va senza dubbio alcuno alla Barbera.
Vino del nord, ma meridionale che di più non si può. Amo la barbera da impazzire, se non si fosse capito!