Nella mia lista personale di figli e figliastri lo Chenin Blanc occupa una posizione piuttosto privilegiata.
E’ un vitigno al quale ritorno sempre e sempre con rinnovata curiosità e entusiasmo. Mi piace la sua originalità, la sua acidità vibrante e anche le sue note aromatiche a volte un po’ spigolose, quella tendenza ai sentori quasi-ossidativi, la pera cotogna, le mele. E poi quella nota salina, minerale, sapida e lunghissima in bocca. E la sua capacità di creare degli equilibri tra zuccheri e acidità che nessun altro vitigno, se non forse il riesling, è in grado di fare.
Un vitigno estremamente versatile, poliedrico, capace di infinite variazione nella gamma dei colori, dei profumi, dei sapori. Con una componente tattile-gustativa sempre preponderante, sempre di grande soddisfazione.
Ma proprio per la sua versatilità, lo Chenin Blanc è alla base di vini difficili da classificare: sulla stessa etichetta il residuo zuccherino può variare anche del 400% tra un’annata e l’altra.
Sul piano interpretativo, da un lato ci sono i minimalisti che cercano di imbrigliarlo in uno schema di fresca eleganza che lo fa quasi sembrare un Sauvignon Blanc, e dall’altro i maestri dell’opulenza, dell’abbondanza barocca, del residuo zuccherino, della potenza, dell’ossidazione.
In mezzo si trova un’infinità di interpretazioni tra cui è spesso difficile districarsi.
In questa degustazione abbiamo cercato di mettere un po’ d’ordine, confrontando stili, produttori, e annate diverse, per cercare di capirne un po’ di più.
La spina dorsale della degustazione sono stati i vini di un produttore a me caro, anche se sconosciuto ai più: il Clos de la Meslerie.
Perché? Beh, semplicemente perché Peter Hahn è un grandissimo interprete di questo vitigno, che sa declinare nelle sue varie versioni. Poi, soprattutto, Peter fa parte di quei produttori che non concedono nulla né alle mode né tanto meno ai gusti del mercato.
Dire che il vino si fa in vigna è diventato oggi un discorso trito e vuoto. Ma nel caso di Paul è la pura verità: lui non decide mai a priori se la sua unica etichetta sarà secca, amabile o dolce. Lui ne farà, ogni anno, sempre e comunque una: e saranno le caratteristiche dell’uva di quell’annata a determinare se e quanto residuo zuccherino lasciare.
Questa è una filosofia che può non piacere a tutti: ma date allo Chenin Blanc il suo giusto accompagnamento e vedrete che ogni discorso sui gr./litro di zucchero diventerà superfluo.
L’uva deve giungere a perfetta maturazione per poter esprimere ciò che di meglio è in grado di dare. Il processo di fermentazione, affidato a lieviti indigeni non supportati in nessun modo, proseguirà fin dove può e vuole.
Il risultato? Sarà il migliore possibile a partire dall’uva raccolta nelle condizioni climatiche di quella specifica annata.
Ed ecco che il 2015 si rivela dolce (oltre 60gr./litro), il 2017, 2019, 2021 secchi, e il 2016, 2018, 2020 amabili.
In ciascuna annata, però, ciò che conta non è tanto il residuo zuccherino (un dato tanto oggettivo quanto insignificante), ma l’equilibrio che si realizza tra acidità e dolcezza.
Prima batteria: Clos de la Meslerie, Vouvray Brut Nature Millésime 2012
Un brut non dosato da 100% Chenin Blanc, sboccatura estate 2015.
Il colore è giallo oro brillante, a marcare il tempo trascorso dalla vendemmia, oltre dieci anni (e sette dalla sboccatura). Al naso i profumi sono quelli intensi dello Chenin Blanc: pera cotogna, mela, cera. Il perlage è fine e persistente, in bocca l’acidità sostiene un sorso lungo e minerale, sapido. Un livello di complessità che ho raramente riscontrato su un Crémant di Loira. E una capacità di resistere al tempo sorprendente.

Seconda Batteria: annata 2018
Qui abbiamo voluto confrontare tre produttori sulla stessa annata, interrogandoci sulle differenze di stile e sul significato dei diversi modi di rispondere al cambiamento climatico, in un’annata che è stata particolarmente calda e siccitosa, mettendo a dura prova la capacità dello Chenin Blanc di produrre vini al tempo stesso secchi ed equilibrati.
Domaine des Roches Bleu, Coteaux de Loire L’Orée de la Bertherie, 2018
Il produttore qui ha fatto la scelta di lasciare un minimo residuo zuccherino, a fronte comunque di 13.5° di alcol. Il risultato è un vino potente al naso, in cui l’acidità non riesce però a controbilanciare adeguatamente l’effetto congiunto di alcol e zuccheri residui. Forse il vino che ha convinto meno di tutta la batteria, ma non va dimenticato che si tratta comunque del vino di entrata per questo produttore.
Thibaud Boudignon, Anjour Blanc, 2018
Il colore è giallo paglierino, con riflessi verdognoli che già lasciano intuire una vendemmia più anticipata. Note di agrumi canditi e fieno al naso. In bocca è perfettamente secco ma privo di complessità, con un’acidità che non si integra perfettamente ad una materia un po’ sottile. Qui tocchiamo con mano cosa succede quando un produttore, pur bravo, decide di anticipare la vendemmia e accorciare la vinificazione per contrastare gli effetti dell’annata calda. Il risultato è un vino certo molto piacevole, ma che a confronto con vini più equilibrati, anche se ottenuti al prezzo di un grado alcolico o un residuo zuccherino maggiori, risulta un po’ semplice.
Chateau Yvonne, Saumur Blanc, 2018
Un vino giocato sulla piacevolezza, in cui però l’impatto del legno tende un po’ a diluire la specificità varietale dell’uva. In bocca c’è un bell’equilibrio che situa questo vino a metà strada tra i due precedenti, e ne fa senza dubbio quello più equilibrato.

Terza Batteria: Clos de la Meslerie 2014-2019
Peter Hahn produce ogni anno un solo vino fermo a partire dai suoi 4 ettari vitati a Chenin Blanc. Il residuo zuccherino varia a seconda dell’annata, perché Peter è convinto che solo in questo modo si riesce ad ottenere il meglio possibile da questo vitigno. Non c’è dunque una decisione a priori se fare un vino amabile, secco, o dolce, ma è l’equilibrio delle parti a stabilire come sarà il vino in ogni annata.
Vouvray 2019
In questa annata moderatamente calda, Peter ha vinificato lo Chenin Blanc secco, ma con un residuo zuccherino di circa 5gr./litro che si avverte appena. Il naso si apre intenso su note di mela cotogna, pera, mela renetta e agrumi canditi. C’è intensità e persistenza, il carattere primario dello Chenin Blanc è perfettamente rispettato. In bocca il sorso è ampio, lungo e persistente. L’equilibrio tra acidità e zuccheri perfetto. Ha accompagnato alla perfezione un piatto di tortelli verdi al formaggio.
Vouvray 2014
All’unanimità considerato il vino della giornata. Colore leggermente più intenso del precedente, le note primarie dello Chenin Blanc iniziano a confondersi con altre di paglia e nocciole tostate. In bocca è di una finezza sorprendente, più delicato del precedente. L’acidità sostiene il sorso senza mai infastidire. L’assenza di residuo zuccherino si giustifica in funzione dell’annata e il risultato è perfetto.
Vouvray 2016
Un démi-sec, con circa 20 gr./litro di residuo zuccherino. Le note aromatiche dello Chenin emergono prepotenti, con una piacevole punta piccante e note più esotiche che nel 2019. Anche qui colpisce l’equilibrio perfetto tra acidità e zuccheri, ottenuto ovviamente ad un livello di contrasto più ampio. E’ un vino perfetto per piatti asiatici, o per formaggi freschi.
Vouvray 2015
Ultima versione dolce prodotta da Paul, con circa 60gr./litro di residuo zuccherino. Ci troviamo davanti ad un vino opulento, in cui tutto è amplificato: le note aromatiche dello Chenin Blanc, la grassezza in bocca, la persistenza. Ma anche qui un’acidità vibrante sostiene il sorso e tiene il vino in un perfetto equilibrio.
E’ un vino da meditazione, o da formaggi stagionati. Ha dato il meglio di sé su un pecorino affinato nel fieno, ma si può anche accompagnare a biscotti secchi.
I residuo zuccherino non eccessivo, accompagnato ad un’acidità importante non lo rendono indicato per dolci al cucchiaio. E’ davvero un vino da pasto.
Qual’è la morale che è possibile trarre da questa degustazione? Come anticipavo più in alto, il residuo zuccherino è un dato che, preso a sé, significa poco o nulla. Ciò che conta, infatti, è sempre l’equilibrio delle parti, il rapporto tra acidità e dolcezza percepite, la capacità di un elemento di sostenere e valorizzare l’altro, mantenendolo in equilibrio.
E i punti di equilibrio, l’abbiamo visto, possono essere molto diversi: si va dall’equilibrio a basso contrasto di annate come la 2019 e soprattutto la 2014, ad equilibri ad alto contrasto, in cui la piacevolezza gustativa si ottiene tenendo alti, ma bilanciati, zuccheri e acidità.