Capita raramente di partecipare a degustazioni che mettono più o meno d’accordo tutti. Non sul fuoriclasse di turno, ma sull’insieme della batteria.
Oggi è stato così. L’annata l’ha fatta da padrona, al di là delle differenze di terroir e di mano. Le sorprese, buone o cattive, sono state praticamente nulle. Un parterre di bottiglie di livello altissimo, vini tutti centrati, grande equilibrio, parti olfattive e gustative ben integrate. Una conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che la 2013 in Langa è stata grande, se non grandissima.
Le cinque batterie hanno sostanzialmente confermato quello che personalmente penso da tempo, ovvero che in queste zone il livello medio è talmente alto che a volte è difficile stilare classifiche. Quando alla fine della degustazione uno dei partecipanti ha chiesto a ciascuno di dire la bottiglia che aveva preferito, la domanda ha quasi suscitato imbarazzo. Praticamente nessuno aveva un solo preferito. Più facile è stato individuare una terzina di vini sui nove degustati.
Le conclusioni le trovate alla fine dell’articolo. Sotto una breve descrizione dei vini degustati.
Prima Batteria: Poderi Colla, Barbaresco ‘Roncaglie’ 2014; Castello di Neive, Barbaresco ‘Santo Stefano’ 2013
La prima batteria è quella che ha disorientato di più. Le note delicate, fini, floreali del Roncaglie facevano a pugni con l’irruenza potente, quasi selvatica, del Santo Stefano. Si è discusso a lungo dei meriti rispettivi dei vini, anche se la maggioranza dei partecipanti ha preferito il secondo.
Finché le calze non sono state levate e le etichette svelate. Qui un imperdonabile errore (mio): ho messo in degustazione un Roncaglie 2014 anziché 2013. L’errore è però stato istruttivo in quanto ci ha permesso di iniziare con un punto di riferimento esterno all’annata, poi confermato da tutte le bottiglie successive: la 2013 ha energia, stoffa, potenza e materia da vendere. La 2014 ha un’eleganza ed una finezza incomparabili, ma di questo riparleremo l’anno prossimo, alla prossima edizione di Barbaresco dieci anni dopo.
Il Santo Stefano è stato uno dei vini più apprezzati di tutta la degustazione. Una materia complessa, cangiante, profonda. Note molto terziarizzate: sottobosco, humus, caffè. Un tannino presente ma ben integrato. Grande classicità ma soprattutto potenza.
Il Roncaglie ha di certo un po’ accusato il confronto. E’ un vino più sussurrato, tutto giocato sui fruttini rossi, la freschezza, un acidulato leggero. Poi nel bicchiere, lasciandogli tempo, si espande ed evolve. Gli amanti del tocco delicato lo hanno preferito. Resta il rimpianto di non aver assaggiato l’annata giusta….
Seconda Batteria: Ada Nada, Barbaresco Riserva ‘Cichin’ 2013; Fiorenzo Nada, Barbaresco ‘Manzola’, 2013
Questa batteria presenta i vini di due ‘modernisti pentiti’. Entrambi attivi nel movimento dei Barolo Boys, i due Nada sono poi tornati nel tempo a tecniche di vinificazione più tradizionali.
Cichin si apre più complesso, con leggere note eteree, frutti scuri, una bella presenza in bocca, che all’inizio tradisce un po’ il passaggio in botte. Il Manzola ha una complessità olfattiva che stupisce molti: frutti scuri, pot-pourri, sotto bosco, grande intensità che emoziona. In bocca purtroppo un tannino ruvido che asciuga eccessivamente il sorso penalizza il vino. Riassaggiato alla fine della degustazione il naso continua a restituire grande complessità aromatica, intensità e persistenza. Per diversi partecipanti sarà uno dei ‘nasi’ più interessanti.
Terza Batteria: Cascina Roccalini, Barbaresco 2013; Cascina Roccalini, Barbaresco Riserva 2013
Una bellissima disfida in famiglia. Il Barbaresco ‘base’ si apre su note di frutti rossi molto fresche, e anche in bocca il sorso è particolarmente fresco e dissetante, un vino leggiadro. La riserva, pur fatta a partire da una selezione di filari delle stesse vigne, ha una trama olfattivo-gustativo completamente diversa, tanto che nessuno dei partecipanti ha trovato similitudini tra i due vini.
Al naso la riserva offre note nettamente eteree, che poi evolvono verso il balsamico. La lunghezza è semplicemente impressionante. In bocca però la riserva è misurata, elegante e controllata. Soltanto più complessa del ‘base’, anche se diversi partecipanti hanno preferito quest’ultimo alla riserva. Probabilmente per la sua maggiore leggibilità. La riserva, infatti, vira subito verso note olfattive molto particolari, non immediatamente riconducibili al terroir. Il base invece è puramente, semplicemente e orgogliosamente barbaresco. Un campione didattico che racconta il terroir e il vitigno in una espressione quintessenziale, come del resto spesso accade con Cascina Roccalini.
Quarta Batteria: Cascina delle Rose, Barbaresco ‘Tre Stelle’, 2013.
Con Cascina delle Rose si fa, a detta di diversi partecipanti, un salto qualitativo. Il naso è ancora incredibilmente fresco, dominano i frutti rossi, con grande freschezza e soprattutto intensità potente. In bocca il tannino è presente ma levigato, il sorso lungo, persistente, profondo. Il naso sembra non esaurirsi mai, tanto è complesso e intenso. Sono tra i pochi però a metterlo tra i vini della giornata. Per me un capolavoro di classicità.
Il Roncagliette si apre su note molto ‘pinotteggianti’, un frutto rosso incredibilmente fresco e croccante che fa pensare ad una macerazione a grappolo intero. E’ uno dei vini più imprevedibili e cangianti di tutta la degustazione. Nel bicchiere evolve così in fretta che spiazza tutti. Parte intrigante ma poco territoriale, attraversa una fase di stanchezza, per poi rinascere integralmente e profondamente nebbiolo. Un percorso davvero emozionante.
Il Montestefano di Baldo è invece la quintessenza della classicità. Un monumento a Barbaresco. Un vino preciso, profondo, ampio ma sempre perfettamente definito nei dettagli. C’è grande ricchezza ed evoluzione ma sempre all’interno di un perimetro più facilmente riconoscibile. Però che eleganza, che stile!
Difficile scegliere tra i due. I vini sono stilisticamente diversi come diverse sono le persone che li hanno fatti. Leggermente più ‘pop’ e imprevedibile il Roncagliette, più classico il Montestefano.
Resta il fatto che è impossibile rimanere indifferenti alle loro personalità.
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La conclusione, anticipata all’inizio, è che quando produttori bravi si associano ad un’annata buona, il livello tende ad essere così alto che le differenze si riducono spesso a fattori di gusto personale.
Nessun vino si è davvero distaccato dagli altri, né nel bene né nel male. Chi si è contraddistinto per equilibrio, chi per originalità, chi per tipicità e chi per innovazione.
Quando ciascuno dei partecipanti ha dichiarato i suoi tre preferiti, ciò che ha colpito è stata la sostanziale non concordanza. E proprio la divergenza è, credo, il segno di un livello qualitativo incredibilmente alto.
Si potrebbe discutere, e in altra sede lo faremo, se questo non sia anche il segno del limite espressivo del nebbiolo: un vitigno che nelle condizioni geologiche-climatiche giuste fa tutto da solo, tutto bene, basta non ‘rovinarlo’, ma che non è capace della gamma espressiva di un pinot nero.
Per il momento mi piace però chiudere questa degustazione su una nota più positiva, che è il riconoscimento del fatto che nelle Langhe, a saper scegliere con attenzione, la possibilità di imbattersi in vini straordinari a prezzi ancora tutto sommato accessibili non è remota.
E questa è, al di là di tutto, una bellissima notizia.