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L’Alto Piemonte e i suoi nebbioli

L’Alto Piemonte è una delle realtà viti-vinicole italiane più in crescita e più variegate, e per questo difficile da decifrare. A seconda di come lo si definisce, conta tra i 700 ettari se ci limitiano alle zone colllinari del nebbiolo e i circa 1.000 ettari se includiamo anche le zone premontane della Val d’Ossola e quelle dell’Erbaluce.
Nulla, se confrontato ai circa 40.000 ettari vitati di inizio ‘900. La fillosera a fine ‘800 e una terribile grandinata nel 1905 hanno determinato il progressivo abbandono delle terre, che ha raggiunto il punto più basso verso la fine degli anni ottanta, quando è iniziato un movimento di rinascita e riscoperta, che si deve a figure oggi centrali come  Christoph Künzli  (Le Piane) e la famiglia Sperino (Tenuta Sperino), ma anche a famiglie storiche come gli Antoniolo a Gattinara, gli Antoniotti nel Bramaterra, e i Brigatti a Suno.
Capire i vini dell’Alto Piemonte è difficile per diverse ragioni.
La prima ragione è che la loro storia è tra le più antiche – ci sono tracce scritte di produzione di vino dal Trecento – ma la produzione attuale è spesso senza radici. Chi fa vino oggi spesso ha iniziato da meno di vent’anni, dovendo reimpiantare i vigneti e non potendo contare su una tradizione famigliare in grado di trasmettere il sapere antico e di stabilire un canone di riferimento.
La seconda è che il territorio è geologicamente diversissimo: i circa 700 ettari vitati sono distribuiti tra zone argillose, terreni vulcanici, e terreni sabbiosi. Una diversità che talvolta si ritrova all’interno delle stesse denominazioni, come è il caso di Bramaterra, equamente diviso tra terreni vulcanici e argillosi.
La terza ragione è che storicamente l’Alto Piemonte è terra di assemblaggi: anche se il nebbiolo regna sovrano, tradizione e disciplinari vogliono che esso sia spesso affiancato a vespolina e croatina (più raramente uva rara) in percentuali molto diverse.
Se le denominazioni Gattinara e il Lessona impongono l’obbligo di 100% nebbiolo, Boca stabilisce un limite minimo del 70% e massimo del 90%, con vespolina e uva rara a complemento, mentre Bramaterra pone a questo vitigno il limite dell’80%, consentendo poi oltre a vespolina e uva rara l’utilizzo anche di croatina. Questi sono solo alcuni degli esempi dei disciplinari in vigore oggi, ma che sono in procinto di cambiare, seguendo la direzione di una progressiva ‘nebbiolizzazione’.

In questa degustazione abbiamo provato a fare un po’ il punto per cercare di identificare, se esistente, una coerente linea enologica del territorio. Lo abbiamo fatto assaggiando alla cieca undici etichette rappresentative di quasi tutte le denominazioni di origine.

 

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Prima batteria: bottiglie di apertura

La prima batteria includeva quattro vini provenienti dalle DOC Colline Novaresi e Coste della Sesia. A differenza delle denominazioni comunali, queste permettono una gestione più libera delle percentuali dei vitigni. Se un vitigno è presente per almeno il 70%, allora si può mettere il nome in etichetta.
Si tratta di vini in genere agili, dai prezzi abbastanza contenuti, ma dall’indiscutibile alto valore qualitativo. Tanto che spesso sono i primi a risultare esauriti.

Mattia Quarna, Colline Novaresi Vespolina 2021
Una vespolina in purezza, vinificata in acciaio per preservarne lo stile sbarazzino. Il colore è violaceo brillante, i profumi esprimono tutto lo spettro speziato caratteristico di questo vitigno. In bocca presenta grande freschezza, con tannini non del tutto levigati, che possono talvolta sembrare ruvidi. Un vino che accompagna alla perfezione salumi e piatti grassi.

Podere La Palazzina, Coste della Sesia, 2020
Nebbiolo 70%, Vespolina 20%, Croatina 5%, Uva rara 5%. Il colore è rosso rubino scarico e al naso i profumi dominanti sono quelli del nebbiolo, con una delicata speziatura in sottofondo. Di questo vino colpisce l’eleganza e quella struttura esile che fa pensare subito ai vini di montagna. Un vino che alla giusta temperatura potrebbe accompagnare perfettamente un piatto di pesce. Qui emerge in tutta chiarezza l’originalità di questo terroir, capace di regalare vini agili e freschi anche in annate calde. I 12.5 gradi di alcol sono qui a confermarlo.

Francesco Brigatti, Colline Novaresi Motziflon, 2019
Nebbiolo 85%, Vespolina 10%, Uva Rara 5%. Il profilo olfattivo è molto simile al vino precedente, ma c’è maggiore intensità, più presenza, più struttura. Anche in bocca risulta più persistente e ampio, anche se sorretto da una bella colonna vertebrale data dal tannino estremamente elegante del nebbiolo.

Francesco Brigatti, Colline Novaresi Motfrei, 2019
Nebbiolo 100%. Dei vini di Francesco forse quello che stenta di più a trovare la sua identità. La vinificazione più marcata (batonnage e botti piccole) fanno perdere un po’ di quell’eleganza così caratteristica dell’Alto Piemonte e ricordano ai nebbiolisti che in queste zone l’aggiunta di altri vitigni non toglie nobiltà al nebbiolo ma, anzi, ne valorizza il carattere espressivo.

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Seconda batteria: suoli marnosi

Francesco Brigatti, Ghemme, 2019
100%Nebbiolo. Con questo vino il salto di livello si avverte forte e netto, come quando si passa da un Langhe Nebbiolo a un Barbaresco: c’è più concentrazione, più intensità, più tutto. Però in un contesto di estrema coerenza, con un tannino gustoso. Emergono forti le note ferrose che spesso si ritrovano nei vini dell’Alto Piemonte. È un vino succoso anche nel colore, rosso rubino estremamente brillante, quasi scuro. Ritorna la leggera speziatura che è la firma del territorio (amplificata in presenza di vespolina).

Francesca Castaldi, Fara 2018
Nebbiolo 70% e 30% Vespolina. Un vino che si distacca nettamente dagli altri soprattutto in ragione di un impatto gustativo molto più levigato. Il tannino risulta quasi impercettibile, in bocca c’è una rotondità levigata che risulta piacevole ma un po’ atipica. Al naso domina un fruttato piacevole, di more e prugne, che ancora una volta ci porta un po’ lontano dagli altri vini di questa zona.

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Terza batteria: intruso

Renato Fenocchio, Langhe Nebbiolo ‘Spetacul’ 2019
Anche alla cieca tutti i partecipanti si sono accorti che qui avevamo a che fare con un vino ‘diverso’. Nessuno era a conoscenza dell’intruso, ma le note balsamiche così caratteristiche delle Langhe si sono sentite subito. Idem per una sensazione di maggiore alcolicità, e per un grip salino e minerale in bocca che non aveva confronti con nessun altro vino della serata. La differenza con le batterie precedenti è stata netta, e la diversità di provenienza non ha stupito nessuno.

Ciò che forse ha sorpreso di più nel confronto è una certa mancanza di agilità. Il nebbiolo di Fenocchio, che considero un grande rappresentante di questa tipologia, segnava un po’ il passo rispetto alla freschezza gustativa dei vini dell’Alto Piemonte. Un dato, quest’ultimo, che deve spingerci a riflettere sul potenziale e sulle caratteristiche uniche di questa zona viti-vinicola

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Quarta batteria: porfido

Odilio Antoniotti, Bramaterra 2018
Nebbiolo 70%, Croatina 20%, Vespolina 7%, Uva Rara 3%. La famiglia Antoniotti è una delle poche a poter vantare una storia di vinificazione e imbottigliamento ininterrotti per almeno 70 anni. Lo stile è dunque tradizionale nel senso di un consapevole tramandare gli usi di padre in figlio. E lo stile riflette questo impianto: è un vino austero, dai profumi appena autunnali, in cui la speziatura della vespolina si mescola a note di fiori secchi e sottobosco, poi arancia sanguinella e bergamotto. In bocca è minerale, verticale, ma mai squilibrato né eccessivamente duro. Un vino dall’eleganza aristocratica.

Podere La Palazzina, Bramaterra Riserva 2015
Nebbiolo 80%, Croatina 10%, Vespolina 5%, Uva rara 5%. Il profilo olfattivo è decisamente spostato sui frutti maturi, complice anche l’annata più calda. È un vino dalle spalle più larghe, ma in cui la verticalità data dal porfido si sente comunque. Un vino comparativamente più di potenza che di eleganza.

Azienda Franchino, Gattinara 2019
100% nebbiolo. Un vino ultra-tradizionale, per i veri amanti del nebbiolo. Le durezze sono forse un po’ esasperate, con i tannini sempre un po’ in evidenza, ma un bel naso di note floreali e scorza d’arancia. Un vino che richiama il cibo. Difetta forse un pelo di eleganza, ma la sua è una rusticità che non disturba.

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Quinta batteria: sabbie

Villa Guelpa, Lessona 2019
100% Nebbiolo. Qui siamo al vertice dell’eleganza, senza se e senza ma. Un vino di finezza, vellutato al sorso, delicato, dai profumi finemente floreali. Siamo lontani anni luce dalle durezze dei porfidi come pure dalla matericità delle marne. Un vino diverso, come diversi sono i suoli.

Lessona è la più piccola delle DOC dell’Alto Piemonte, con circa 20 ettari vitati. Quello di Villa Guelpa rimane a mio avviso il vino più fedele all’unicità di questo terroir, capace come nessun altro di interpretare la finezza setosa delle sue sabbie.

 

Conclusioni

La degustazione è stata altamente istruttiva nel suo permetterci di esaminare il potenziale espressivo del più nobile vitigno italiano in un territorio fortemente vocato, ma dalle caratteristiche così diverse da quelle delle Langhe. Per gli amanti del nebbiolo l’Alto Piemonte sta diventando sempre più un interlocutore con cui è necessario confrontarsi. Il livello ancora comparativamente basso dei prezzi, l’elevato livello qualitativo e l’originalità dei vini fanno dell’Alto Piemonte un orizzonte di estremo interesse. È una realtà in profondo divenire, dove molte cantine sono nate negli ultimi anni e molte nasceranno, e dove cantine storiche hanno conosciuto alterne vicende. Bisogna quindi fare molta attenzione nella scelta dei vini. Ma come questa degustazione ha dimostrato, per chi ha voglia di investire un po’ di tempo nella ricerca, le ricompense sono assicurate. Noi organizzeremo presto un gruppo di acquisto. Se sei interessato registrati al sito, riceverai un messaggio quando saremo pronti!
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