Diciamo subito che Lamole è un posto magico. Una frazione del comune di Greve in Chianti in alta quota, direttamente a ridosso di Radda in Chianti.
Meno di 100 ettari vitati, tutti oltre i 500 mt di quota, esposti ad est e inframmezzati a boschi. La maggior parte dei vigneti sono terrazzati, e non di rado la vigna è allevata ad alberello, nella caratteristica versione non a caso detta ‘lamolese’. La maggior parte delle vigne è esposta verso est, le escursioni termiche sono importanti, la ventilazione costante. Inoltre Lamole è l’unica zona del Chianti dove i suoli sono prevalentemente sabbiosi.
Ecco che abbiamo la ricetta quasi perfetta per produrre vini slanciati, fini, eleganti, dai tannini setosi.
Se fino ad ora questo territorio dal grande potenziale non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita, questo si deve ad una situazione un po’ particolare, dovuta al fatto che il 90% vigne sono coltivate dall’azienda Lamole di Lamole, del gruppo S. Margherita e destinate ad una produzione di grandi numeri, mentre i restanti 8 produttori devono dividersi i pochi ettari rimanenti, le cui minuscole produzioni vengono assorbite dal mercato locale o disperse in piccoli rivoli senza mai riuscire a fare massa critica ed affermarsi con il proprio carattere unico e distintivo.
Nella mia ultima gita fuori porta ho allora deciso di andare a visitare uno degli interpreti storici più importanti di questo territorio, ovvero Paolo Socci, il titolare di Fattoria di Lamole.
Fattoria di Lamole è un’azienda storica le cui origini si perdono nel tempo, ma la cui rinascita si deve all’attuale titolare, Paolo Socci. Classe 1947, circa vent’anni fa Paolo inizia un lavoro importante di recupero delle vigne di famiglia: ricostruzione dei terrazzamenti, reimpianto con la tecnica tradizionale dell’alberello lamolese, progressiva conversione della vigna in agricoltura biologica e vinificazione in proprio seguendo i dettami della tradizione.
Rientrato a Lamole nel 1970 alla morte del padre, Paolo provvede al reimpianto dei vigneti. Livio, già fattore della famiglia Socci, ‘impone’ a Paolo l’utilizzo di materiale viticolo pre-fillossera che aveva gelosamente custodito.
Dal 1973 il suggerimento di Livio è stato di reimpiantare queste viti a piede franco, e così è stato fatto.
Il cenacolo scientifico “La vigna Lamolese”, fondato da Carlo Socci, nonno di Paolo, aveva permesso di recuperare le tradizionali varietà di Sangioveto.
Gli altri viticoltori dileggiavano Livio (pianta dei bacchetti per terra…) e dagli anni ’70 hanno espiantato le vecchie vigne a piede franco per reimpiantare cloni più produttivi.
“Viti di Livio” è il vino che forse più rappresenta il lavoro di recupero storico condotto da Paolo negli ultimi quattro decenni. Una delle pochissime vigne di sangiovese a piede franco, di cui oggi Paolo si avvale anche per reimpiantare nuovi vigneti da una selezione massale di questi antichi piedi di vigna non innestati. Un unicum assoluto in tutto il Chianti.
Paolo oggi è affiancato da due giovani enologi, Giovanni Stella e Filippo Lazzerini, che stanno dando un contributo decisivo alla valorizzazione di questo patrimonio storico e viticolo unico.
I vini sono tutti caratterizzati da un corredo olfattivo ricco, ampiamente fruttato, spesso con accenni balsamici, che viene tuttavia sorretto da un sorso che è sempre sorprendentemente fresco e slanciato. I tannini sono resi setosi dal suolo sabbioso ma anche dai lunghissimi affinamenti che Paolo impone ai suoi vini prima di commercializzarli: almeno due anni di affinamento in cemento, seguiti da altri due anni in tonneaux esausti e altri 12-24 mesi in bottiglia. Paolo ritiene che questo lunghissimo affinamento sia necessario per permettere al suo Sangioveto di ‘limarsi le unghie’ e acquisire quei tratti eleganti e setosi che contraddistinguono tutti i suoi vini.
Oggi Paolo mette in commercio i cru dell’annata 2015 e inizia la commercializzazione del Chianti Classico 2016. Come dirò più ampiamente nella prossima sezione dedicata alla degustazione dei vini, la freschezza di queste bottiglie è semplicemente disarmante.
L’ennesima conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che il vino buono ha bisogno di tempo, tempo, tempo. Paolo ha lasciato i suoi vini ad attendere pazientemente al buio delle sue cantine storiche, una scelta costosa e coraggiosa che non potrà che fare felici tutti gli appassionati di vino.
I vini
Fattoria di Lamole produce sei vini: un bianco, un chianti classico, un chianti classico riserva e tre cru provenienti dalle tre tre vigne storiche.
La produzione è limitatissima: circa 8.000 bottiglie di Chianti Classico e poco più di 1.000 bottiglie per ciascuna delle altre etichette, per una produzione davvero sartoriale.
I vini rossi sono realizzati secondo pochi ma saldi principi: perfetta maturazione delle uve, fermentazione spontanea in contenitori di acciaio inox, lungo affinamento prima in cemento e poi in tonneaux esausti e successivamente in bottiglia, per una durata di circa sei anni.
L’anidride solforosa è utilizzata in piccolissime dosi all’arrivo dell’uva in cantina e all’imbottigliamento, nessun altro ingrediente enologico è utilizzato. I vini non sono filtrati. Il clone utilizzato è quello del Sangioveto di Lamole, e quasi ovunque il sistema di impianto è il tradizionale alberello lamolese, su terrazzamenti.
IGT Bianco ‘Le Stiche’ 2021.
Da uve 50% Chardonnay e 50% Sauvignon Blanc.
Il vino prende il nome da un antico castello sito vicino alla vigna, ubicata a circa 700mt di altezza. Le viti hanno circa trent’anni di età.
Dopo l’arrivo in cantina, le uve sono sottoposte a criomacerazione (5-10 °C) per 48 ore. Il mosto è poi decantato, pressato e svinato. La fermentazione avviene in tini di inox con controllo della temperatura. La fermentazione malolattica non è svolta. L’affinamento avviene in tini di acciaio inox per circa 9 mesi e successivamente affina in bottiglia per altri 8-9 mesi.
Le Stinche è un sorprendente vino di terroir: il profilo olfattivo non rimanda se non indirettamente ai descrittori varietali caratteristici di chardonnay e sauvignon, ma dominano frutti bianchi e fiori come biancospino. In bocca è ancora una volta il terroir a parlare, con un ingresso diretto, verticale, che si concentra a centro bocca lasciando il sorso pulito e appagato. Ci sono freschezza, sapidità e mineralità.
Naso ampio, quasi imponente, e sorso snello sono tratti che accomunano tutti i vini di Paolo, non importa se bianchi o rossi. È questa, mi pare, la cifra più distintiva di Lamole, dove anche se si cercano maturazioni ‘spinte’ sulle uve, il sorso resta comunque agile, fresco, slanciato, sempre sostenuto da una trama minerale ben delineata. E scusate se è poco.
Chianti Classico ‘Castello di Lamole’ 2016
100% Sangioveto
Macerazione di circa 30 giorni sulle bucce in vasi vinari di acciaio inox o cemento, successivo affinamento in cemento per circa 12 mesi e poi 12-24 mesi in tonneaux esausti e poi ancora 12-24 mesi in bottiglia.
Il lungo affinamento spoglia questo sangiovese di quei tratti un po’ didascalici e spesso ripetitivi che rendono molti Chianti tutti uguali. Penso in particolare a quelle note di ‘arancia sanguinella’ che nell’immaginario collettivo sono diventate il marchio di fabbrica del Chianti.
E invece no. Grazie al sul lungo affinamento questo Chianti (ma la stessa cosa vale per tutti i rossi di Fattoria di Lamole) si presenta con un profilo olfattivo unico, dove domina un frutto incredibilmente fresco e a tratti balsamico. Il sorso è sempre incredibilmente goloso, piacevole. Il tannino è fine e setoso, presente ma levigato dal tempo.
Difficile trovare un altro Chianti Classico cui poter confrontare questo unicum assoluto nel suo panorama.
Tempo e terroir producono qui un effetto semplicemente unico.
Chianti Classico ‘Castello di Lamole’ Riserva 2015
100% Sangioveto
Le uve provengono dalla stessa parcella da cui provengono le uve con le quali viene prodotto il Chianti Classico. Cambia solo l’affinamento, ulteriormente prolungato di un anno. Questo permette a Paolo, tra le altre cose, di proporre due vini di annate diverse.
Nonostante una maggiore complessità della Riserva, ciò che si nota maggiormente è l’effetto annata, con un frutto più scuro, note balsamiche più in primo piano, e i primi accenni di terziarizzazione con profumi di sottobosco. In bocca l’acidità è più marcata, il tannino più presente anche se sempre perfettamente levigato, setoso.
Lama della Villa 2015
100% Sangioveto
È il primo dei tre cru, prodotto con uve provenienti da una piccola parcella esposta ad ovest, posta sotto la strada comunale, ad un’altezza di circa 550mt. Le vigne sono allevate ad alberello lamolese ed hanno un’età di circa 25 anni.
Dei tre cru il Lama della Villa è sempre quello più morbido e scuro, dal sorso ampio e potente. Al profilo aromatico dominano i frutti scuri ma anche la prugna, i toni sono caldi ed avvolgenti.
Viti di Livio 2016
100% Sangioveto
Il Viti di Livio ha la particolarità unica di essere piantato con vigne a piede franco. Si tratta di poco meno di mezzo ettaro, su terrazzamenti, con vigne allevate ad alberello lamolese.
Il Viti di Livio è forse il vino più spiazzante: si apre su note intense di garrigue per poi virare verso note balsamiche. Il naso evolve incessantemente nel bicchiere in modo quasi ciclico. In bocca sorprende per eleganza e finezza, il tannino pur presente risulta estremamente setoso, leggiadro. Bocca e naso sono in perfetto equilibrio.
Vigna Grospoli 2016
100% Sangioveto
Il vino prende il nome dal vigneto omonimo, situato su terrazzamenti a circa 630mt di altitudine. L’età delle vigne è di circa 25 anni. La vinificazione è la medesima che per tutti i vini rossi di Paolo.
Al naso si apre su note di ciliegia matura per poi evolvere verso note di macchia mediterranea, poi ematiche, poi di sottobosco, poi ancora di ciliegia, in un turbinio continuo.
Il Vigna Grospoli si distingue dagli altri cru soprattutto in ragione di un attacco in bocca molto più dinamico, scattante. La bocca è salina, tesa, estremamente rinfrescante. Non ha forse l’eleganza del più aristocratico Viti di Livio, ma produce una tensione gustativa davvero unica. Non a caso Armando Castagno ha definito vino ‘ipercinetico’.